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Lo scorso 12 febbraio, al momento della lettura della lista dei Ministri del nuovo Governo Draghi, un intero settore è balzato dalla sedia: il moto di stupore è derivato non tanto dai nomi letti dal Presidente, quanto invece dalla frase “Ministro dell’Ambiente, che assumerà la denominazione di Ministro per la Transizione Ecologica, assorbendo le competenze in materia energetica allo stato attribuite ad altri Ministeri e che presidierà il costituendo Comitato Interministeriale per il coordinamento delle attività concernenti la transizione ecologica: prof. Roberto Cingolani”.
La notizia, per il vero, arrivava inaspettata solo per chi non avesse seguito i resoconti delle giornate di consultazione – le parti sociali (e in particolare le associazioni ambientaliste) avevano già anticipato l’introduzione del nuovo Ministero: ciò non toglie che, in circa 30 secondi, si sia così cantato il de profundis dell’attuale governance del sistema energetico italiano, imperniata da oltre un secolo su Via Veneto (sede del Ministero dello Sviluppo Economico).
Come noto, infatti, gran parte delle responsabilità strategiche e operative connesse al settore dell’energia – riferibili agli idrocarburi come alle rinnovabili, alla generazione di energia come alla vendita, agli energivori come all’efficienza energetica – erano in capo al Ministero dello Sviluppo Economico, il dicastero al centro di ogni interlocuzione istituzionale per tutti i player di settore, con gli altri Ministeri, quali l’Ambiente, le Politiche Agricole e Forestali, i Trasporti, il MIBACT), che venivano chiamati in causa su specifici aspetti relativi a specifici provvedimenti (come nel caso delle biomasse per le Politiche Agricole e Forestali)…
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