Per gentile concessione di Quotidiano Energia
30 Gennaio 2020
Una visione chiara su dove rischia di arenarsi il percorso di decarbonizzazione: questo è quanto emerge dai risultati delle procedure del DM – e in particolare delle aste – pubblicate nel cuore della notte dal Gse (QE 29/1).
La prima evidenza di segnali di scarsità è infatti il dato che, ai nostri occhi, colpisce maggiormente scorrendo gli esiti della procedura principale, ossia l’asta con cui sono stati assegnati 500 MW di incentivi all’eolico e al fotovoltaico in area non agricola.
Dopo il digiuno di tre anni – l’ultima, affollatissima, asta risaliva al 2016 – sembrava lecito attendersi una procedura popolata e competitiva. Invece, la capacità iscritta è stata di appena 595 MW: in altri termini solo 3 dei progetti iscritti (insieme a una quota parte di un quarto) hanno visto le loro offerte non accettate – a questi si aggiungono altri 3 esclusi per vizi di forma o di altra natura.
Come è possibile, si dirà, che in presenza di progetti autorizzati per oltre 2 GW, solo 600 MW abbiano partecipato? La ragione sembra da cercare nel grandissimo numero di progetti alle prese con ottimizzazioni sui propri siti tramite varianti non sostanziali: elemento che non stupisce, dato che i progetti hanno iniziato il loro percorso autorizzativo anche da più di 6-7 anni, prevedendo elementi tecnologici appartenenti ormai a oltre una generazione fa. Fino a qualche anno fa tali operazioni, fondamentali per rendere competitive le iniziative nel nuovo scenario di remunerazione, risultavano sufficientemente agevoli: oggi, le resistenze a livello locale paiono aumentate anche su questo fronte, rendendo i processi più lunghi e complessi e – di fatto – lasciando fuori dall’asta una grossa fetta di progetti autorizzati.
Colpisce anche il bassissimo livello di partecipazione del grande fotovoltaico, con appena 2 iniziative che si sono iscritte alle procedure: conferma questa della scarsità di progetti su area industriale (gli unici ammessi alla procedura), che in almeno un caso hanno peraltro preferito curiosamente la strada dei PPA.
Naturale dunque che il basso livello di competizione si sia riflesso sul livello delle offerte che, seppur molto vario (ballano quasi 20 €/MWh tra l’offerta più bassa e quella più alta), vede impianti che hanno offerto ribassi contenuti entrare tranquillamente nel contingente delle iniziative incentivate. Probabilmente non l’esito che auspicava il Governo, che può comunque vantare un livello di remunerazione medio della procedura di 57 €/MWh, il più basso mai raggiunto nella storia delle rinnovabili italiane.
Differente, invece, il quadro sui registri, caratterizzato da livelli di partecipazione doppi (idroelettrico) o tripli (eolico + PV) rispetto ai contingenti disponibili – quasi del tutto vuoto il registro riservato al fotovoltaico in sostituzione di amianto, una delle poche novità pentastellate rispetto alla bozza di decreto calendiana.
Dai registri traiamo almeno altri due spunti, ossia la nuova (e ultima?) fiammata del mini-eolico, con oltre 200 progetti che si sono presentati sperando nell’accesso alle tariffe del 2016 (garantito a chi entra in esercizio entro agosto) ma che nella quasi totalità hanno avuto esito negativo e l’en plein del fotovoltaico, che accede agli incentivi con tutti i progetti presentati.
Dagli esiti delle prime procedure è già possibile trarre qualche considerazione generale. Qualche mese fa scrivemmo di un possibile processo di “germanizzazione” delle aste italiane, facendo cenno alle procedure tedesche in cui, in più di un’occasione, il livello di partecipazione è stato inferiore rispetto agli incentivi disponibili. Orbene, al netto dei registri, questo processo sembra subire un’accelerazione inattesa, iniziando a rivelare i prodromi già dalla prima sessione d’asta. Ovviamente non è automatico che la bassa partecipazione si ripeta nelle prossime procedure e, ad esempio, già a partire dalla prossima (il cui avvio è previsto domani): molto dipenderà, come detto, dalla velocità con cui i progetti otterranno le loro varianti, ancor prima che dal rilascio di nuove autorizzazioni, ormai al palo in molte Regioni (meno di 150 MW autorizzati lo scorso anno).
Tuttavia, guardando all’intero programma biennale, sembra difficile non immaginare, prima o dopo, un esito “alla tedesca”: circostanza questa paradossale, tenuto conto che il programma di aste rappresenta solo un piccolo tassello verso gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 (che molti ritengono peraltro insufficienti). La mancata saturazione dei contingenti lancerebbe dunque un messaggio inequivocabile e, per una volta, perfettamente tangibile: il grande ostacolo sul percorso della decarbonizzazione è il tema autorizzativo, con il nodo gordiano della gestione del consenso sui progetti e sulle infrastrutture.