Per gentile concessione di Staffetta Quotidiana
17 Dicembre 2019
Da qualche settimana sappiamo che le aste del Capacity Market hanno assegnato a poco più di 36 GW e 39 GW il premio annuale rispettivamente per gli anni 2022 e 2023, ma solo pochi giorni fa è stato reso disponibile il rendiconto degli esiti, documento molto atteso da parte degli osservatori.
La relazione pubblicata da Terna arricchisce le informazioni sugli esiti dell’asta, tuttavia non fornisce la lista delle unità assegnatarie di premio dal momento che il Capacity Market è un meccanismo a portafogli e la nomina delle unità che verranno utilizzate per adempiere agli obblighi avverrà solo in prossimità dell’orizzonte di consegna. Aspettando il documento relativo all’anno di consegna 2023, alcune interessanti considerazioni possono essere comunque derivate dal rendiconto dell’asta 2022 soprattutto se inquadrate con gli obiettivi del meccanismo: i soggetti istituzionali hanno infatti in più occasioni sottolineato la necessità del Capacity Market sia come strumento vitale all’adeguatezza del sistema elettrico sia come passo fondamentale per procedere alla decarbonizzazione.
In preparazione alle aste, la definizione della disciplina si è rivelata un processo molto complesso, mettendo il TSO nella condizione di dover pubblicare ben tre documenti di chiarimento per rispondere alle domande poste dagli operatori. La disciplina risulta in alcuni passaggi di difficile interpretazione – basta leggere le quasi 30 pagine pubblicate da Terna per farsi un’idea della quantità di dubbi che il regolamento ha lasciato – ed in altri opinabile. A proposito di decarbonizzazione, sembra per esempio difficile trovare il razionale dietro l’indicizzazione del corrispettivo variabile anche ai prezzi di MSD per i soggetti non abilitati (come eolici e fotovoltaici): l’impossibilità di partecipare al mercato dei servizi avrebbe lasciato queste unità totalmente esposte al corrispettivo – nel caso di impossibilità di vendere tutta la capacità contrattualizzata su MGP – rendendo di fatto inutili gli accorgimenti adottati dal TSO per “tutelare” la partecipazione al Capacity delle non programmabili (come l’obbligo di offerta spalmato sulle ore di picco settimanali). D’altronde il meccanismo è stato fin da subito pensato per essere ad appannaggio dei termoelettrici, e questo esempio, insieme all’esigua capacità rinnovabile contrattualizzata, ne è solo una conferma.
Un elemento distintivo del processo di decarbonizzazione dovrebbe essere la promozione della flessibilità: nella profonda transizione energetica in atto, le risorse flessibili sono necessarie per garantire una integrazione sostenibile delle rinnovabili nel sistema elettrico, e sembrerebbe naturale siano accompagnate anche dal Capacity Market. Il meccanismo italiano non è però stato orientato a guidare la transizione verso unità flessibili e i risultati lo dimostrano: il rapporto pubblicato da Terna ci dice che solo il 13% della CDP che riceverà il premio sarà effettivamente fornita da impianti qualificati come tali e il 72% della capacità assegnataria è classificata come esistente, non flessibile, non rinnovabile. Tale informazione non è, tuttavia, rappresentativa della flessibilità del parco termoelettrico italiano. È infatti probabile che gli operatori, alla cui discrezione è stata lasciata la decisione di qualificare parte della CDP come flessibile, abbiano optato per evitare tale classificazione in quanto essa avrebbe comportato importanti oneri tecnici in cambio di un vantaggio limitato (la sola priorità in caso di parità di merito economico). Se quindi da una parte il Capacity Market ha espresso solo parziali informazioni sulle caratteristiche del parco termoelettrico, dall’altra è probabile che buona parte della capacità nuova sarà composta da peaker che garantiranno almeno in parte flessibilità al sistema e sostituiranno la rigida produzione a carbone, il cui phase out è il vero bersaglio nel mirino del meccanismo.
Il Capacity Market ha infatti come primo obiettivo il mantenimento dei margini di adeguatezza del sistema, elemento fondamentale per proseguire nell’accompagnamento al decommissioning degli impianti a carbone. Nonostante l’esito delle aste – entrambe chiuse al cap sia per la capacità esistente che per quella nuova – manifesti come i target di adeguatezza posti da Terna non saranno raggiunti, il MiSE ha recentemente ripreso i lavori del tavolo per il phase out del carbone, processo che contribuirà negativamente ai margini di adeguatezza riducendo la capacità installata. Sembra quindi che il rischio di mancata adeguatezza non sia una preoccupazione a livello istituzionale, probabilmente anche per le future aste di aggiustamento, una visione apparentemente condivisa anche dagli stakeholder che forse percepiscono le curve di domanda come molto prudenziali.
Le due aste del Capacity Market ci lasciano quindi 5,8 nuovi GW di CDP (che, considerati i fattori di derating, si traduce in un valore ancor più grande di capacità effettivamente installata), la consapevolezza che gli operatori non hanno pipeline di progetti – ancorché non autorizzati – in grado di soddisfare le necessità di Terna e un onere di 1,3 e 1,6 Mld € per 2022 e 2023 rispettivamente (che si ridurranno a circa 400 milioni di euro nei 15 anni contrattualizzati dalle unità nuove).
Ma in cosa si traduce questo onere per i consumatori? Se da una parte secondo il MiSE si ridurranno i costi dell’uplift di meno di 2 €/MWh per effetto della riduzione dei prezzi MSD (340 Milioni di Euro da sommare ai costi evitati per i capacity payment), i premi del meccanismo saranno scaricati in capo agli utenti del dispacciamento in prelievo e ripartiti in modo differente tra ore di picco – le 500 ore con minor margine di adeguatezza individuate da Terna – e non. Sulle prime verrà spalmato più del 70% del costo del Capacity Market, andando a creare corrispettivi attesi in un intorno di 50 €/MWh che si andranno a sommare a prezzi dell’energia che saranno in quelle ore presumibilmente più alti della media. Sarà interessante capire se gli operatori adotteranno strategie per scoraggiare i propri clienti a ridurre i consumi nelle ore di picco, così da ridurre i costi (che andranno comunque a spalmarsi sulle 8260 ore rimanenti). Viene quasi da pensare che nel 2022 potremmo scoprire che il Capacity Market sarà – inaspettatamente – il primo strumento a trainare lo sviluppo del demand response.