Per gentile concessione di Quotidiano Energia
29 settembre 2020
Quasi il 70% degli incentivi disponibili per le rinnovabili non è stato assegnato: questa è la “notizia” – divenuta anche “dato politico” – connessa alla pubblicazione degli esiti del terzo round di procedure del Gse avvenuta lo scorso giovedì.
Già a giugno, alla pubblicazione degli esiti del secondo round – seppur in modo meno evidente le procedure furono sotto-partecipate – scrivemmo che un simile epilogo sarebbe stato quantomeno plausibile: una facile profezia, legata alla sempre più evidente scarsità di progetti “ready to build” sul mercato.
Eppure, per quanto attesa, l’entità della sotto-partecipazione non può non colpire: guardando alla sola asta dell’eolico e del FV non agricolo, appena 313 MW su 775 MW disponibili sono stati assegnati – il peggior risultato di sempre, con un tasso di non assegnazione pari al 59%, da quando le procedure competitive sono state introdotte nel 2013 in Italia. Bassissimo in particolare il contributo dell’eolico (poco più di 200 MW), con il FV industriale che – con oltre 100 MW – mostra un dinamismo che è facilmente riconducibile al minor tempo di ottenimento delle autorizzazioni: elementi questi che – si voglia per le percezioni del mercato (rafforzate dall’esito della scorsa asta), si voglia per la minor qualità di alcuni dei progetti presentati – hanno portato a ribassi medi molto contenuti.
Anche i registri per le piccole taglie, storicamente soggetti a forte competizione, sono stati sotto-partecipati, almeno nel caso di eolico e PV: solo i registri dell’idroelettrico hanno mostrato segni di vitalità, soprattutto però grazie al ridottissimo contingente di incentivazione (10 MW).
Due sono gli approcci possibili per commentare la vicenda e trarne le relative conclusioni.
Ci si può concentrare sulla sovrabbondanza della disponibilità di incentivi, sostenendo la tesi di un Governo che – se più attento nell’analisi dei fondamentali (i progetti autorizzati, su cui le informazioni sono però difficili da reperire e estremamente frammentarie, e dove il dato di Terna sulle richiesta di STMG nulla dice dell’attuale stato del mercato) – avrebbe dovuto ridurre i contingenti di incentivazione, a tutto beneficio dei consumatori sia in termini di volumi supportati sia di tariffe emergenti dalle procedure. E su questa base sostenere che si rende necessaria una revisione del meccanismo, ignorando forse che apportare modifiche in corsa al meccanismo è sempre complesso (per quanto non impossibile se si ragiona su un’estensione della partecipazione, come dimostra la soluzione trovata per l’ammissione in asta del repowering: nel corso dell’assemblea di Elettricità Futura, sia l’associazione sia Terna hanno indicato l’apertura delle aste al FV come una delle strade da percorrere) ed espone al rischio contenziosi, andando a incidere su aspetti quali la tutela del legittimo affidamento su cui il settore è sensibilissimo.
Oppure si può argomentare che non è l’offerta di incentivi ad essere eccessiva, ma la domanda (appunto, i progetti autorizzati) ad essere spaventosamente sottodimensionata, specialmente per un paese che si è posto l’obiettivo – nei prossimi 10 anni – di raddoppiare la produzione eolica e triplicare quella fotovoltaica.
Del resto, la carenza di progetti non è certamente riconducibile ad assenza di volontà da parte degli operatori: a partire dal 2018 lo sviluppo è arrivato a livelli mai registrati in precedenza, con quasi 1 GW di nuove istanze di autorizzazione presentate ogni mese (dati Elemens). Di processi giunti a termine, invece, se ne sono visti pochissimi: negli ultimi 12 mesi, sono stati autorizzati 179 MW di Wind e 703 MW di FV (dati Elemens), dato che – se letto assieme alle durate medie dei procedimenti (357 giorni per il PV, 1.558 giorni per l’eolico) – rende chiaro che la questione autorizzativa è drammatica soprattutto per l’eolico. Al riguardo, persino molti progetti eolici già autorizzati sono spesso non “eleggibili”: avendo iniziato il percorso autorizzativo molti anni fa, quando le attuali tecnologie non erano ancora disponibili, sono adesso alle prese con processi di varianti e proroghe rivelatisi farraginosi quasi tanto quanto l’ottenimento di nuove autorizzazioni – elemento, almeno quest’ultimo, su cui ci si augura che il Decreto Semplificazioni possa produrre qualche effetto.
Tra la tesi di un meccanismo mal pensato e quella di un enorme problema sistemico connesso all’autorizzazione delle infrastrutture – ci si perdoni l’assenza di originalità – ci convince più la seconda.